CHE FINE HA FATTO IL MIO BAMBINO?

 

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Miguel Ángel Belinchón Bujes, noto come Belin

Tratto da: https://www.keblog.it/street-art-murales-dipinti-postneocubismo-belin/

“Che fine ha fatto il mio bambino, il bambino che mi amava tanto e mi considerava la più bella mamma del mondo, il bambino che mi ascoltava e con cui era facile capirsi? Questo figlio all’improvviso non lo riconosco più, non so più chi è e perché sembra tenermi a distanza o addirittura avercela con me.”

Tutti sanno che i figli ad un certo punto fanno la “muta” e da bambini facili da gestire, affettuosi e adoranti, si trasformano sotto gli occhi, come per incantesimo, in ragazzini a volte burberi e distanzianti, se non francamente oppositivi e trasgressivi. Eppure i genitori vengono spesso colti di sorpresa quando è il loro turno di assistere alla muta. Di fronte alle manifestazioni della preadolescenza si sentono spiazzati e vivono i primi accenni di conflittualità come una sorta di tradimento dell’affetto, come un’accusa ingiusta che i figli, tanto amorevolmente accuditi, rivolgono loro. E si arrovellano di domande. E soffrono.

È così che mi trovo spesso a suggerire ai genitori che mi consultano di fare tesoro dello spaesamento che provano come della nostalgia per l’infanzia perduta del loro figlio per riuscire a sintonizzarsi nuovamente con quanto lo stesso figlio vive, sospinto violentemente com’è fuori dall’infanzia senza avere ancora sufficienti strumenti cognitivi e affettivi per affrontare il cambiamento. Anche i preadolescenti si sentono spaesati, a dispetto di quell’atteggiamento supponente che all’improvviso hanno tirato su come una barriera; sono in verità alle prese con un corpo che si modifica velocemente e che, spesso troppo precocemente rispetto alle possibilità di elaborazione della mente, diviene sessuato. Anche loro provano nostalgia per l’infanzia, per quel periodo di armoniosa quiete a fronte della tempesta che stanno vivendo ora, seppure in alternanza alla urgenza delle spinte interne all’autonomia.

Per crescere e diventare individui con una propria personalità separata da quella dei genitori, i preadolescenti (e gli adolescenti) non possono che tenersi in parte lontani dal “risucchio” dell’amore dei genitori, respingere il richiamo di quel senso di protezione connesso all’infanzia, pena il non riuscire a trovare la forza per “tradire” l’immagine di sé bambini, l’immagine che i genitori rispecchiano loro, e diventare altro, diventare grandi. E tanto più sono forti il risucchio e il richiamo tanto più avranno bisogno di ricorrere alla conflittualità per separarsi e diversificarsi. La protezione e il senso di appartenenza la cercheranno d’ora in poi soprattutto nel gruppo dei pari.

Per questo, i genitori, fatto salvi problemi specifici di relazione, non hanno da temere l’oppositività che, entro certi limiti, è sana e necessaria per crescere. E non devono viverla come un’accusa o un tradimento, ma come una fase, faticosa – certo – ma necessaria dello sviluppo. L’alternativa sarebbe avere dei figli eterni bambini, compiacenti e senza una propria individualità delineata, il che non è certamente auspicabile. Sostengo, inoltre, che le persone che al giusto tempo non hanno attraversato il travaglio della preadolescenza e dell’adolescenza, prima o poi manifestano un disagio derivante proprio dall’essere compiacenti e aderenti alle aspettative altrui.

Marisa Faioni – psicologa psicoterapeuta dell’adulto e dell’adolescente – Milano

psicoterapia individuale – di coppia – di gruppo

http://www.psicoterapia-milano.eu